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Le Vacanze di Renè - Parte IV |
La delusione cocente di aver inutilmente atteso che le mie sorelle partecipassero, come visitatrici, alla mia notte d’amore fu temperata solo dalle emozioni dolcissime e intense che le mie amiche mi avevano donato.
Il pensiero della mia prima volta nel culo di Edith mi mandava in estasi, continuavo a ripensare senza tregua a quel canale caldissimo e bagnato che aveva accolto il mio pisello e lo aveva stretto in un abbraccio finora sconosciuto, ma talmente eccitante... Però avevo in mente di andare in fondo al discorso dell’assenza di Virginie e Jacqueline. Avevo realizzato che il semplice pensiero che ci fossero mi intrigava da morire. Il fatto poi che fossero le mie sorelle non mi inibiva assolutamente: forse perché non avevamo mai avuto segreti fra noi, senza dubbio la complicità che si era creata mi impediva di avere qualsiasi pudore nei loro confronti. Il mattino successivo mi svegliai verso le otto, ancora un po’ intorpidito dalle fatiche amorose e salii subito in coperta, dove immaginavo che fervessero i preparativi per la partenza in crociera. Mio padre era già al lavoro ed iniziò subito a darmi indicazioni, nella mia veste di mozzo, su come sistemare cordami e attrezzi. Sul ponte era tutto in ordine ed io non avevo altro da fare che seguire comandi e suggerimenti: mio padre contava su di me per assicurare ai passeggeri una navigazione perfetta; mi sentivo orgoglioso del mio ruolo e per un attimo dimenticai la delusione nei riguardi delle mie sorelle. Quando circa un’ora più tardi Vir e Jac apparvero in coperta, mi sentii i loro sguardi addosso, poi si avvicinarono a noi, diedero prima un bacio a mio padre e poi a me. Mentre mi baciava, Virginie mi sussurrò all’orecchio: “Sei stato grande! Ti abbiamo visto mente inculavi Edith. E’ stato eccitantissimo”. Ma dove cavolo si erano cacciate, mi chiesi io, mentalmente, per essere riuscite comunque a vedere tutto? La consapevolezza di aver avuto le mie sorelle testimoni della mia performance sessuale mi diede un brivido strano, proprio quello che mi aspettavo di provare se le avessi viste entrare nella cabina dove stavo facendo l’amore con Edith e Annette. Le manovre preparatorie alla partenza mi impegnarono tanto che non fui in grado di proseguire il discorso. Un suono di sirena annunciò che la barca stava per muoversi: sganciai le cime (mio padre mi aveva insegnato che su una imbarcazione non si usa mai il termine “corda”) che legavano lo scafo alle bitte d’ormeggio e mio padre iniziò a dare gas ai motori diesel che ronfavano sotto coperta. Intanto sul ponte si era radunato tutto l’equipaggio degli ospiti: i nonni, mia mamma, lo zio Marcel, le zie Jeneviève e Juliette, le mie sorelle, Edith, Annette, tutti quanti emozionati per l’inizio della crociera. Altri due colpi di sirena e la barca si staccò dal pontile, lentamente, bordeggiò nelle acque tranquille del porto e, superate le dighe foranee, si immerse, finalmente, nelle azzurre acque polinesiane. La caratteristica di quel mare stupendo è di essere celeste e trasparente in prossimità delle rive, al di qua della barriera corallina, mentre al di la di quella assume un colore blu profondo. Quello è il territorio preferito di caccia degli squali. Il panfilo accelerò progressivamente, sollevando due scie laterali di schiuma bianchissima. La tensione iniziale si dissolse e sui visi di tutti comparve un sorriso sereno: cominciavano tutti a godersi la crociera. Mia madre, libera dagli impegni dell’atélier e soddisfatta per l’esito del servizio pubblicitario, poteva finalmente distendersi su uno dei lettini sul ponte per farsi baciare dal sole australe: un bikini arancione metteva in risalto le sue curve perfette e faceva risaltare la sua abbronzatura dorata: notavo che il suo corpo di quarantenne non aveva nulla da invidiare a quello delle mie sorelle. Il suo seno, soprattutto, faceva tendere la lycra del suo costume da bagno ed i capezzoli sporgenti sembravano bucare la stoffa leggera del reggiseno. Mi sentii il corpo scosso da brividi sconosciuti: era la seconda volta che osservavo mia madre in quella maniera e ammetto che la trovavo bellissima e attraente. E, come per le mie sorelle, non provavo alcun pudore nei suoi confronti: per me era una bellissima donna e basta, pur essendo mia madre. La vera sorpresa, invece, era la zia Jeneviève, che sdraiata sul lettino vicino a quello della mamma chiacchierava con lei amabilmente. La zia indossava, abituata com’era ad un abbigliamento serio e casto, un costume intero, un contenitore che però non riusciva a nascondere il suo contenuto. Zia Jen portava la taglia 46, ma la morbidezza e l’armonia delle sue forme, a mio avviso, le consentivano di essere vincente in qualsiasi confronto con altre donne più magre. Il costume da bagno, di quelli da piscina, senza cuciture, in apparenza molto castigato, le fasciava il corpo come una seconda pelle. Non ci voleva neanche tanta immaginazione per indovinare cosa ci fosse sotto. Il suo seno tendeva la stoffa quasi volesse sgranarla, mentre la curva dolce del ventre veniva interrotta dalla cavità dell’ombelico. La vista più eccitante, invece, era quella del suo monte di venere, leggermente sporgente. Mentre era distesa io le guardavo proprio un punto particolare tra le sue gambe, perché era evidentissima la fessura della sua fica, quasi come se il morbido tessuto del costume da bagno si infilasse tra le sue labbra fin nell’interno. “Ohè, giovanotto, ti piace così tanto la zietta ?”. Mi scossi come fulminato: era l’altra mia zia, Juliette, che, in piedi, alle mie spalle, guardava il mare e si stava movendo per dirigersi verso le sue sorelle, per distendersi anche lei su di un lettino. La sorpresa era, in realtà, che sotto un pareo con il quale si era fasciata salendo in coperta, anche lei indossava un costume da bagno da sballo, ma scelto in sintonia con il suo carattere: spregiudicato. Poteva definirsi, ma solo avendo molta fantasia, un bikini: in realtà era praticamente nuda. Mentre un bikini per la mamma doveva comunque avere una certa quantità di stoffa, almeno per nascondere il suo seno generoso, quello della zia Juliette, se misurato, sarebbe stato di 10 centimetri quadrati circa. In totale. E’ vero che la zia aveva un corpo efebico, e tuttavia ben fatto, ma il bikini che indossava era costituito da due striscioline sul davanti, che nascondevano a malapena i capezzoli, e da un triangolino negli slip, che celava giusto la sua peluria; per la parte posteriore nessun commento, non vi era che un filino sottile, tutto nascosto dalle natiche completamente scoperte. Forse ho esagerato indicando una misura di 10 cmq! “In effetti, zia” risposi io un tantino imbarazzato “guardavo zia Jeneviève, ma anche tu non sei da meno! Cavoli!” “E bravo il nostro René, che comincia a guardare le donne. Ti piaccio? Alla mia risposta entusiasticamente positiva, rispose: “Ti confesso che sarei stata preoccupata del contrario. Tuo zio Marcel, alla tua età, non ne lasciava indietro nessuna; ne portava due alla volta in casa e sapessi che cosa combinava…!” Zia Juliette mi arruffò i capelli con la mano, mi dette un bacio e, ancheggiando, andò ad accomodarsi vicino alla mamma e a zia Jeneviève. Mentre lo faceva notai un particolare che mi colpì molto. Zia Jul, evidentemente con intento scherzoso, e forse per sottolineare che mi avevano colpito appunto quei particolari, dette una strizzatina alle tette della zia Jen e poi a quelle della mamma, che risero di gusto e si scossero come se fingessero di volersi sottrarre, ma solo per finta, a quel tocco insistente. Realizzai, a quel punto, che tutto ciò che vedevo contribuiva ad accrescere il mio stato di continua eccitazione. Soprattutto perché mi rendevo conto che mi venivano rivelati a poco a poco dei segreti molto indicativi sulla sessualità dei componenti la mia famiglia. Mio padre aveva calcolato la rotta per la prima isola che avevamo intenzione di raggiungere e ora la barca, condotta da mano esperta, solcava decisa il mar dei coralli. Navigammo per tutta la mattinata e ogni tanto incrociavamo quelle caratteristiche barche con i bilancieri che tuttora vengono usate dai pescatori polinesiani: mi meravigliai tantissimo che fossero così lontane dalle coste, ma ricordai che a scuola avevo studiato che maori e polinesiani sono dei grandissimi marinai, dotati di un senso dell’orientamento fuori del comune. Il caldo dei tropici, dolce e mai completamente torrido, temperato dalla brezza marina, in parte prodotta dal moto della barca, mi accarezzava la pelle; sentivo in me una carica erotica praticamente inesauribile, ora accresciuta dai panorami offerti dalle “mie donne”. La notte appena trascorsa era stata bellissima, ma non aveva appagato in alcun modo la mia ricerca di sessualità, anzi la visione di mia madre, delle zie e delle mie sorelle in libertà, mentre si abbandonavano quasi voluttuosamente a lasciarsi cullare dal rollio della nave e a farsi accarezzare dal sole e dalla brezza, suscitava in me la sensazione di dover scoprire ancora tante cose. Zio Marcel aveva preparato per tutti dei long–drinks a base di rum e latte di cocco, deliziosi. Sì, quello era davvero il paradiso. Ad un tratto mia sorella Virginie si alzò dalla sua sdraio. Il movimento attirò la mia attenzione e distolsi lo sguardo dallo schermo dell’ecoscandaglio per guardare nella sua direzione. Probabilmente era ciò che Virginie si aspettava, perché mi lanciò uno sguardo insistente e poi scese sotto coperta. Pensai di aver capito che volesse dirmi qualcosa, ma non davanti a tutti. Lasciai quindi passare qualche minuto, poi chiesi a mio padre se avesse bisogno di me. Lui mi rispose che andava tutto bene e che fino a quando non fossimo arrivati in vista dell’isola non ci sarebbe stato null’altro da fare. Imboccai la scala con il cuore in gola, attanagliato dalla curiosità di sapere che cosa Virginie avesse da dirmi e soprattutto come avesse fatto a vedere tutto quello che avevamo combinato la notte precedente. Andai diritto nella cabina dove dormivano le mie sorelle, ma non c’era nessuno, ripercorsi il corridoio del sottoponte: ancora nessuno. Cominciai allora a pensare che fosse un altro degli scherzi di Virginie, famosa nel prendere in giro tutti quanti. Aprii le porte di tutte le cabine e ancora nulla: ma dove diavolo si era cacciata, pensavo tra me. Realizzai proprio il quel momento che l’eccitazione di quella situazione, unita a quella provocata dalla visione della mamma nel suo bikini elastico che mostrava tute le sue grazie, delle zia Jeneviève soprattutto della zia Juliette, avevano provocato in me una reazione alla quale mi rassegnavo ad abituarmi sempre più: il mio pisello era in semierezione, completamente bagnato, pieno di liquido trasparente e un po’ viscido che aveva provocato una macchia vistosa sul davanti del mio costume da bagno. Era opportuno che non mi facessi vedere in quello stato da tutta la famiglia e decisi quindi di andare nella mia cabina per cambiarmi, prima di riprendere a cercare Virginie. Vi entrai di corsa e mi tolsi gli slip. Avevo deciso di metterli a bagno nel lavandino per eliminare quella macchia “di umidità”: quanto poco tempo era trascorso e quanti progressi avevo fatto da quella volta in cui ebbi la mia prima eiaculazione, spontanea, dopo aver soltanto sognato di abbracciare mia sorella Jacqueline nuda! “Finalmente, ce n’è voluto di tempo perché ti decidessi a venire!” Feci un salto di un metro per lo spavento: non mi ero assolutamente accorto che nella cabina c’era mia sorella Virginie, rannicchiata sulla mia cuccetta a castello, seminascosta da quella superiore, con le braccia intorno alle gambe ripiegate e la testa appoggiata sulle ginocchia. “Vir, ma che diavolo fai” sbottai “vuoi farmi prendere un colpo ?” “Ma no, quale colpo” rispose lei dolcemente “il colpo lo hai fatto prendere tu a Jac e a me mentre assistevamo alla tua performance” “Ma dove eravate” le chiesi io, rosicchiato dalla curiosità “Mi sono guardato intorno cento volte, ma non vi ho viste”. “Dovrei continuare a farti morire dalla curiosità, ma tanto prima o poi lo scopriresti. Forse non hai notato che tutte le cabine comunicano tra loro attraverso una piccola apertura, chiusa da uno sportello dello stesso legno delle paratie. Probabilmente è un’apertura di sicurezza, nel senso che dovrebbe poter permettere comunque di uscire dalla cabina anche in casi di emergenza, quando la porta fosse bloccata. Nel nostro caso è stata usata come spioncino, per goderci tutto lo spettacolo. A proposito, sei stato davvero grande, mi hai fatto eccitare da morire. Pensa che era arrapata persino Jacqueline, che è la timidezza personificata” “Guarda guarda le sorelline” dissi io con una evidente espressione ironica sul viso. “Sorelline un corno” mi rispose Virginie “ci siamo eccitate come due pazze e siccome non avevamo il coraggio di entrare e partecipare alla festa, o meglio Jacqueline non aveva il coraggio, sai cosa abbiamo fatto? Ci siamo toccate, cioè io toccavo lei e lei me.” Il solo immaginare le mie sorelle che si toccavano vicendevolmente contribuì ad aumentare il mio stato di eccitazione, che a quel punto divenne completamente visibile. Una ondata di calore aveva investito il mio pisello, che, già mezzo eretto, una volta liberato dalla costrizione del costume da bagno, si mostrò in tutta la sua possanza davanti a mia sorella. Lei, con il modo diretto di affrontare le cose che la distingueva, proseguì: “Ascoltami, René, ho invidiato per tutta la notte Edith che ti ha tenuto nel culo, ma ora non ce la faccio più e prima che tutti gli altri si accorgano che siamo scesi qui giù a fare qualcosa di strano devi metterlo anche dentro di me il tuo splendido animale. Non mi importa un accidente di essere tua sorella, ti voglio bene da sempre e tantissimo e ora voglio sentirti dentro di me, subito, qui”. Detto questo si sfilò solo gli slip del bikini, scivolò in avanti sulla cuccetta verso di me e aprì le gambe. Un ciuffo di peli chiari come i suoi capelli le contornava il monte di venere e le labbra rosa della sua fica risaltavano sul biondo dei peli come se avesse messo un rossetto. Come ipnotizzato mi accoccolai per avvicinarmi con il viso all’interno delle sua cosce e piano piano cominciai ad accarezzarle la fica: era completamente bagnata, esattamente come il mio pisello. La voce di Virginie mi destò da quello stato di ipnosi: “Lascia, non voglio essere leccata come fai con Annette, mettilo dentro, sto scoppiando, lo voglio, ORA!”. Anzi, fu lei a prendere in mano il mio pisello. Dalla punta scendeva giù un filo di liquido trasparente; lei lo raccolse e con la mano lo spalmò su tutto il membro, poi tirò in basso la pelle e scoprì completamente la punta, tutta allagata di liquido. “Mmmm, sei più bagnato di me” disse Virginie “vedrai come scivolerà bene dentro”, quindi lo avvicinò alla sua fessura e cominciò a strofinarvelo vicino, su e giù. Poi lo puntò contro l’apertura della sua fica e lo introdusse lentamente sempre più in fondo. “Ahhhh, René, mi fai impazzire, è bellissimo, è così grande il tuo cazzo. Lo senti? Ora sei tutto dentro di me. Mi stai allargando tutta la fica, è enorme!” In effetti il mio cazzo era completamente dentro di lei e i miei peli toccavano i suoi: tra noi non c’erano più spazi vuoti. La fica di Virginie era calda, ma i liquidi abbondantissimi che bagnavano entrambi davano una sensazione di fresco intenso, quasi innaturale. Per istinto e perché già non capivo più nulla, cominciai a muovermi dentro di lei, ritmicamente. Io ero in piedi e questa posizione aumentava la mia resistenza all’orgasmo, che sentivo oltremodo vicino per la grandissima eccitazione che provavo perché stavo facendo l’amore con una persona che già amavo moltissimo e che si stava dando completamente a me, pur essendo mia sorella maggiore. “Dai René, scopami, voglio essere scopata da te, solo da te. Non m’importa nulla che scopi anche con Annette e con Edith, ti voglio anch’io, prendimi, ti prego, fammi godere come fai con loro”. Il bacino di Virginie iniziò a muoversi in una danza più frenetica del tamurè polinesiano: una vera e propria danza del ventre; io avrei potuto restare completamente fermo; lei stava facendo tutti i movimenti, per me e per lei. “René, mi fai morire, non capisco più nulla, dai continua così, sono vicina”. Virginie, mentre danzava col ventre e il mio cazzo dentro di lei, si accarezzava con la mano destra il clitoride, con un movimento lento e circolare, ma continuo. La sua lingua guizzava fuori dalla bocca per leccare le labbra, il respiro era corto e affannoso. “Uhhhhmmmmmm, non ce la faccio più, fammi venire, ti voglio, voglio essere tua, ora”, Virginie era fuori di testa dall’eccitazione e io con lei e per le cose che faceva con me dentro. Cominciai a spingere sempre più forte, tiravo completamente fuori il pisello e lo spingevo a fondo nella sua fica, sempre più forte, una, due, dieci, venti volte, provocando uno “slop–slop” molto eccitante. “Ahhhhh, sì, tesoro, mi fai scoppiare il cuore, è bellissimo, vengo, sto venendo, vengoooooo”. Il corpo di Virginie era scosso da brividi e sussulti fortissimi, io le avevo messo una mano sulla bocca per evitare che gridasse e lei me la stava mordendo. Mi resi appena conto che un orgasmo potentissimo stava salendo dal mio ventre e con l’ultimo barlume di lucidità che mi era rimasto, grazie anche agli intensi allenamenti fatti con Annette, mi concentrai per allontanare l’orgasmo. Lo sforzo era notevole, anche perché le contrazioni della vagina di Virginie sul mio cazzo erano talmente forti che sembrava ci fosse la bocca di Annette a succhiarmelo o la sua mano a stringermelo. Ma io resistevo, anche perché mi stavo godendo quelle contrazioni, un altro fenomeno nuovo e sconosciuto nella mia esperienza sessuale. Attesi che gli ultimi brividi che scuotevano il corpo di Virginie fossero cessati; poi, temendo di combinare grossi guai se le fossi venuto dentro la fica, tirai fuori il pisello e mi lasciai finalmente travolgere dall’orgasmo. Giusto in tempo: fiotti di sperma schizzavano dovunque, sul ventre, sul seno, persino sul viso di Virginie, che emetteva gridolini di piacere ogni volta che uno schizzo caldo la colpiva. “René, sei grande, mi fai morire con questo cazzo meraviglioso che ti ritrovi. Mi sta ancora pulsando la fica”. Virginie mi guardava con aria sognante, ancora scossa dall’orgasmo che le aveva sconquassato il ventre. “Ascoltami, questo è soltanto l’inizio” continuò mia sorella “ho proprio intenzione di divertirmi in questa vacanza. Non mi era mai capitato di godere così tanto. Non è che abbia avuto molte esperienze sinora, ma evidentemente i miei partners precedenti non sapevano fare l’amore, come te. Oppure è perché ti voglio troppo bene e mi piace stare con te anche in quest’altro modo e anche se siamo fratello e sorella.” “Neanch’io sono molto impressionato da questo – possiamo definirlo “piccolo particolare”? – di essere parenti, anzi questo speciale senso del proibito attribuisce un pizzico di intrigo in più a tutta la storia” replicai io. “Vir, anch’io ti voglio bene e te ne ho sempre voluto tanto, a te come a Jac e anche se talvolta non riesco a capacitarmi come sia possibile che ti desidero anche in questo modo, la cosa non riesce a sconvolgermi affatto. E’ stato dolcissimo fare l’amore con te e se vuoi lo rifarei ancora tante altre volte, ma solo se lo vorrai, ti ripeto”. “Non temere” mi rispose Virginie “ora che ti ho trovato e ho scoperto questa bestia feroce che hai tra le gambe non ti lascio certo scappare via, anzi… ho in mente certe cose per noi…” ed alla mia espressione sorpresa replicò: “Tranquillo, non sentirti vincolato in alcun modo, anzi sei libero di fare quello che vuoi e con chi vuoi, ma tieni presente che io sarò sempre con te e sempre dalla tua parte. Del resto è capitata la stessa cosa allo zio Marcel ed alle sue sorelle, mamma compresa.” Questa rivelazione fu come un’esplosione nella mia mente e fece riemergere le parole della zia Juliette sulle eccezionali prestazioni di suo fratello. “Allora è un vizio di famiglia” risposi “e tu come fai a saperlo? E papà cosa ne pensa di tutto questo?” obiettai io, riflettendo sulla possibile gelosia di mio padre. “Piano con tutte queste domande a mitraglia: lo so perché me l’ha confidato zia Jul e papà penso che non ne sappia nulla, ma ritengo che se lo sapesse si arrabbierebbe tantissimo. Comunque suppongo che, come per te, le esperienze di zio Marcel si siano concentrate inizialmente sulle donne della sua famiglia, ma poi si siano evolute in ambiti esterni, in modo del tutto naturale. Succederà così anche per noi. Io o te prima o poi ci sposeremo e quindi rivolgeremo il nostro amore e le nostre attenzioni ad altre persone. Però continueremo a volerci bene come ora. E se capiterà talvolta che ci scappi una scopatina, come adesso, penso che sia da stupidi lasciarci sfuggire l’occasione. Probabilmente anche a zio Marcel e alle zie accadrà la stessa cosa”. “Mamma mia, che casino in questa famiglia” espressi come un pensiero ad alta voce. “Ma và” obiettò Virginie “nessun casino, sapessi in quante famiglie le prime esperienze si svolgono nell’ambito casalingo. Non so altrove, ma in questa famiglia non si è verificata alcuna patologia in conseguenza di questi amori, anzi, tu stesso puoi verificare come tutti siano estremamente amabili, intelligenti, altruisti e dotati di capacità non comuni e soprattutto ho verificato un particolare: tutti, ma proprio tutti, hanno una capacità di amare davvero speciale e questo lo avrai riscontrato anche tu”. “E’ vero” ammisi “sono tutte persone fuori del comune, ma…”. “Dai, niente ma, smettila ora, andiamo” mi sollecitò Virginie “con tutti i precedenti che si sono verificati, immagina quanto ci metteranno la mamma e le zie a capire che qui sotto ce la stiamo spassando. Magari ci stanno pure invidiando. Non che mi dispiaccia che lo sappiano, però preferisco che per ora questo rimanga un segreto tra noi, un grande segreto, sei d’accordo ?” “Certo” replicai “ma mi prometti che lo rifaremo?” “Se te lo prometto! Ma te lo assicuro! E chi ti molla più, te l’ho gia detto”. Pronunciate queste parole scese dal lettino ed in quel momento realizzò di avere tutto il corpo pieno di schizzi del mio sperma. Con un gridolino di piacere si spalmò con la mano destra tutto lo sperma, ancora caldo, sulle tette, poi si succhiò le dita. Io ero paralizzato dall’eccitazione, con gli occhi fissi sulle sue mani. “Mmmmm, che buono, ha un sapore delizioso, ora capisco perché Annette ti usa come un biberon…” Quindi mi si avvicinò e mi depose un bacio dolcissimo sulle labbra chiuse. Nessuno di noi due resistette più di 10 secondi: all’undicesimo le nostre lingue già si cercavano, desiderose del reciproco contatto. Sentivo la sua un tantino rugosa e piena del sapore del mio sperma, che conoscevo bene, per tutti i giochini che piacevano tanto ad Annette, la quale non perdeva occasione per passarmene un po’ quando mi baciava dopo avermi succhiato il pisello. Poi raccolse gli slip e li indossò, mi dette un altro bacio e scappò via. “Vado nella mia cabina a darmi una rinfrescata prima di risalire, altrimenti si accorgono delle tracce di sperma sulle tette” e scomparve come un fulmine, a piedi scalzi, senza far alcun rumore. Il problema però si poneva anche per me. Cacciai la testa sotto il rubinetto del bagno ed il getto di acqua fredda mi ridonò un poco di lucidità. Mi asciugai in fretta e risalii in coperta, cercando di avere un’espressione meno idiota e sognante di quella che mi aspettavo di avere dopo un incontro così travolgente. I miei parenti in coperta non dovettero accorgersi di nulla, perché erano beatamente sdraiati al sole e conversavano cordialissimamente. I loro discorsi erano inframmezzati da risate allegre. In effetti, sia mio padre che zio Marcel erano degli allegroni, ma anche la mamma e le zie, a loro modo, non si lasciavano dietro nessuno, per vena ironica e simpatia. Nella conversazione venivano coinvolte sia Edith e Annette che i nonni. E si vedeva che tutti si volevano sinceramente bene. Questo mi dava un senso di serenità totale, accresciuto dall’appagamento affettivo – e sessuale – che mia sorella mi aveva appena concesso. Ripresi il mio posto davanti agli strumenti di bordo, ma la mia mente era altrove: non riuscivo a levarmi dalla mente in pensiero della mamma e delle zie che facevano l’amore con il proprio fratello. Del resto io stesso che cosa stavo facendo pochi minuti prima ? Mi ripresi e, scrutando l’orizzonte, mi accorsi che si definiva sempre più prima una linea scura in contrasto con il blu del mare, poi, mentre ci avvicinavamo, la linea si trasformò in una lingua di terra verdissima, anzi, l’isola che stavamo per raggiungere sembrava fatta di alberi direttamente piantati nel mare. Era quasi mezzogiorno e stavamo navigando da circa quattro ore: ne avevamo percorse di miglia! Il paesaggio, mentre ci avvicinavamo alla costa, si fece sempre più interessante: l’isola si rivelò un vero e proprio atollo, non molto grande, a forma di anello, con le palme da cocco persino sulla spiaggia. Una insenatura naturale fungeva da porto e riparo per le imbarcazioni e, come tutti gli atolli, una laguna interna offriva lo spettacolo unico di un mare di smeraldo. Non doveva essere un’isola turisticamente frequentata, perché non si vedevano costruzioni in cemento – per fortuna – ma soltanto bungalows di canne con i caratteristici tetti di foglie di palme. Fummo accolti con un entusiasmo singolare e quasi eccessivo dagli abitanti, probabilmente perché non capitava spesso per loro di ricevere visite. Ci vennero incontro con le usuali collane di fiori e vassoi pieni di frutta. Un particolare mi colpì immediatamente: a differenza degli abitanti di Papeete, questi isolani erano bellissimi, uomini e donne. I primi molto muscolosi e visibilmente abituati a vita completamente all’aperto e dedita alla pesca, le donne magre e ben fatte, una visione davvero notevole. L’accoglienza, ripeto, fu calorosissima, anzi gli abbracci sia delle donne che degli uomini, indifferentemente rivolti a ciascuno di noi, apparivano del tutto sinceri e spontanei. Mio padre ricambiò i loro doni con alcune casse di bottiglie di vino che avevamo portato con noi e il regalo fu molto apprezzato da colui che appariva il capo villaggio, perché indossava degli abiti più ricchi e sgargianti rispetto a quelli degli altri isolani. Il suo francese era perfetto e dopo aver pronunciato il discorso di benvenuto il capo villaggio ci invitò ad una festa in nostro onore, che si sarebbe svolta la stessa sera in uno spiazzo antistante la capanna grande, quella evidentemente riservata al capo. Risalimmo sulla barca e pranzammo, ma molto frugalmente, sia perché non sapevamo quale sarebbe stato il menu della sera, sia perché avevamo intenzione di fare un bagno nella laguna. Chiamai a raccolta i volontari, anzi le volontarie, presi pinne e maschera, indossai un costume più stretto, per evitare che qualche altra malintenzionata me lo facesse scivolare via ancora una volta (anche se confesso che mi era piaciuto molto mostrarmi a tutte quelle donne) e mi incamminai verso la spiaggia. Mio padre, mia madre, zio Marcel e il nonno preferirono rimanere in barca. Tutte le altre donne con me. Mi sentivo un condottiero. Giunti in spiaggia, mentre la nonna, Annette ed Edith sistemavano gli asciugamani sulla spiaggia, mi infilai le pinne e mi immersi nell’acqua completamente trasparente. Pur essendo poco profondo, il mare era pieno di pesci, coloratissimi, proprio come in un acquario. I pesci si lasciavano avvicinare, li si poteva toccare con le mani, tranne, ovviamente, quelli che presentavano bellissime spine multicolori. La sabbia bianchissima del fondo rendeva il mare più luminoso e trasparente di quanto lo fosse una vasca da bagno e anche la temperatura dell’acqua pareva la stessa. La nonna, le zie e le mie sorelle si immersero dietro di me, mentre Edith e Annette preferirono rimanere all’ombra delle palme, che erano inclinate sulla spiaggia, fin quasi a toccare l’acqua. Come al solito giocammo a schizzarci e a calarci sott’acqua. Vicino alla riva, nell’acqua meno profonda, io prendevo in braccio le zie e le scaraventavo nel mare: pareva che gradissero questo scherzo, anche perché il refrigerio offerto dal mare era notevole. Anch’io, evidentemente, gradivo questo tipo di divertimento, perché dopo un po’ il mio pisello ricominciò ad indurirsi, sia per il contatto con i corpi, sia perché, in un modo o nell’altro, mentre le sollevavo, era inevitabile che toccasi ora il culo, ora le tette, delle zie e delle mie sorelle. Ma il fatto che fossimo in tanti impedì qualsiasi iniziativa, sia a me, sia alle mie “compagne di giochi”, che ora cominciavano a divenire più numerose. Incrociai tanti sguardi con Annette, con Edith e con mia sorella Virginie, sguardi carichi di sottintesi, di interrogativi e anche di promesse, come mi auguravo. Non vedevo comunque l’ora che arrivasse la notte. Al calar del sole risalimmo in barca e ci preparammo per la festa in nostro onore. Un isolano venne ad avvertirci che erano pronti a riceverci. Scendemmo tutti dalla barca e ci dirigemmo verso lo spiazzo dove era stata imbandita una tavola bassa, sulla quale, a mo’ di tovaglia, erano state stese delle grandi foglie di palma, sulle quali troneggiavano cesti di frutta ed altri cibi sconosciuti ma multicolori. Il capo villaggio ci accolse con grandi sorrisi e sempre nel suo francese perfetto (ci confidò poi di aver studiato appunto a Parigi) ci ridiede in benvenuto nella sua isola, dicendoci che in realtà gli abitanti non gradivano il turismo di massa ed avevano più volte rifiutato allettanti offerte di multinazionali americane e francesi di costruire dei villaggi turistici. Ciò nonostante, ci annunciò, la nostra presenza era graditissima. E poi proprio lui non aveva ogni giorno l’opportunità di scambiare discorsi in francese. Ci fece accomodare su dei comodissimi cuscini e batté le mani, per dare inizio alla festa. Ci disponemmo ai due lati del capo e di sua moglie, una bellissima donna con degli occhi nerissimi ed intelligenti, ma che parlava pochissimo. Una ventina di ballerini, donne e uomini, vestiti con i tradizionali gonnellini di fibre vegetali, iniziò a danzare, al suono di congas e tamburi e canne di bambù battute per terra da orchestrali vestiti con gli abiti da festa. Ad un certo punto il capo, rivolto verso mio padre, disse: “La principale tradizione dei villaggi polinesiani, da sempre, è stata quella di tributare agli ospiti una forma di ospitalità completa, che giungeva ad offrire persino le proprie donne. Questo fino a non molti anni fa. Ora l’evoluzione e la mescolanza delle civiltà – che voi chiamereste globalizzazione – ha trasformato le nostre abitudini. Come vi ho detto, ho studiato in Europa ed ho quindi assunto molte delle vostre abitudini. Non quella della gelosia, però, tuttavia comprendo che al giorno d’oggi una forma di offerta come quella tradizionale potrebbe essere fraintesa dagli ospiti. Quindi, almeno nel nostro villaggio, abbiamo dato una forma diversa alla tradizione dell’accoglienza, istituendo una festa, molto allegra e molto significativa. Ora vedrete”. I ballerini erano molto bravi, alternavano la tradizionale danza polinesiana, fatta di movimenti lenti, e sinuosi, quasi una danza del ventre, nella quale i movimenti delle anche, sia delle donne che degli uomini, erano accentuati dai movimenti delle gonnelline di paglia che tutti indossavano, ad una danza frenetica, nella quale i movimenti del bacino simulavano davvero un atto sessuale. Mentre i ballerini danzavano, alcuni isolani, donne e uomini, prendevano i vassoi di frutta che erano sistemati sui tavoli e li offrivano al capo e a noi. Il capo spiegò che alcune di quelle pietanze, che ci erano sconosciute, non erano altro che frutti di mare pescati nella laguna. Erano comunque tutti deliziosi. Per non parlare della frutta, tanto dolce che sembrava zuccherata, e molto aromatica. Mentre la danza continuava, ancora più frenetica, alcuni ballerini venivano ad invitarci perché ci unissimo a loro. Il capo villaggio, con un sorriso, invitò me e le mie sorelle a partecipare. I ballerini, sempre sorridenti, con grande pazienza ci insegnavamo i movimenti della danza, in particolare come muovere il bacino. Mi resi conto che il loro bacino sembrava che vivesse di vita propria rispetto al resto del corpo. Le mie sorelle riuscivano più di me a riprodurre i movimenti, ma la sensualità espressa da quelle danzatrici non aveva confronti e non poteva essere facilmente imitata. Ritornammo ai nostri posti e ricominciammo a mangiare soprattutto quei deliziosi frutti di mare. Vedevo la mamma, le zie che con gusto assaggiavano tutto ciò che veniva loro offerto. Del resto il capo e gli isolani erano talmente gentili e sorridenti che sarebbe stato un grave sgarbo rifiutare. Anche il capo era un grande mangiatore e ben presto le tavole imbandite furono progressivamente svuotate del loro contenuto. La danza continuava e i ballerini, che davvero ci mettevano grande impegno, anche se sembrava che si divertissero molto, avevano la pelle imperlata di sudore. L’atmosfera accogliente, la temperatura dolce, la sensualità della danza produssero ben presto una strana reazione, come se una corrente elettrica attraversasse il mio corpo,localizzandosi nel basso ventre, come se ne avessi bisogno! Anche la mia pelle cominciava a imperlarsi di sudore e mi accorsi che anche quella dei miei era lucida, così come quella del capo e di sua moglie. Il capo si accorse del mio sconcerto e volle tranquillizzarci tutti: “Non ci sono problemi. I nostri frutti di mare, come del resto le vostre ostriche, sono un po’ afrodisiaci: questo è un effetto fisiologico, ma soprattutto, molto benefico, ve lo assicuro. E poi è essenziale per gustare la seconda parte della festa: la danza della fertilità”. Quindi batté nuovamente le mani e i ballerini, a quel comando, si posero in cerchio. Iniziò allora una nuova danza, molto ritmica, nella quale gli uomini, con le gambe divaricate ed il busto inclinato in avanti si muovevano da destra a sinistra, mentre le donne, questa volta molto più esplicitamente, simulavano apertamente i movimenti del bacino durante un atto sessuale facendolo ondeggiare da dietro verso avanti. Sempre restando in cerchio, ciascun danzatore si spostò dietro la danzatrice che aveva al suo fianco destro e poggiò le mani sulle sue anche. Quindi, insieme, proseguirono il movimento che le danzatrici avevano intrapreso e che non avevano mai interrotto. Una ventata di eccitazione attraversò tutto il gruppo. Ci guardammo straniti tutti quanti, io colsi uno sguardo imbarazzato di mia madre che si spostava da me a mio padre e a zio Marcel. I danzatori proseguivano nei loro allusivi movimenti. Il capo alzò ancora una mano e i danzatori, staccate le mani dalle anche delle compagne, che continuavano a muoversi incessantemente, le sollevarono verso la schiena delle danzatrici, alle quali, contemporaneamente, slacciarono la fascia che fungeva da reggiseno. Wow, René, che spettacolo, pensai tra me e me. Dieci paia di tette notevoli, alcune delle quali normali, ma quattro decisamente enormi, pur avendo le danzatrici dei corpi non grassi, si liberarono ed iniziarono nuovi movimenti. Le danzatrici, infatti – ed in questo erano insuperabili – mentre continuavano a far ondeggiare il bacino avanti e dietro, facevano danzare le tette a destra e sinistra. Il movimento di quei seni completamente abbronzati era eccitantissimo. Io non resistevo più. Spostavo lo sguardo da quelle tette agli occhi di mia sorella Virginie e quelli di Annette e poi di nuovo sulle tette che danzavano. Non pensavo che esistesse uno spettacolo così sensuale Il capo alzò ancora una mano e io i chiesi che cos’altro avrebbero inventato più di quello che stavano facendo: ero un ingenuo… Al comando del capo i danzatori volsero le spalle alle danzatrici e, sempre continuando tutti a muoversi, gli uomini fecero scivolare giù il gonnellino di paglia, rimanendo completamente nudi. Come per le donne, alcuni di loro avevano dei piselli che definirei di dimensioni normali, anche se ritengo più grandi del mio che, almeno secondo Annette e mia sorella, era già notevole, altri ancora tra le gambe avevano un affare di dimensioni mostruose, non tanto per la lunghezza, quanto per la circonferenza, paragonabile ad una lunga melanzana. Vidi che le donne della mia famiglia, quasi tutte insieme, si erano portate una mano alla bocca, come per trattenere il fiato, mentre gli uomini fissavano attentamente lo spettacolo. Ora cominciavo a capire che il divertimento non era ancora iniziato. I danzatori, sempre volgendo la spalle alle danzatrici, continuavano i loro movimenti in sintonia. I loro piselli, ora completamente in erezione, si abbassavano e si sollevavano al pari delle tette delle danzatrici. Lo spettacolo era affascinante. Quelle clave che si sollevavano e ricadevano tra le gambe dei danzatori e quelle tette che roteavano libere nell’aria e ricadevano per poi risollevarsi era una delle cose più eccitanti che avessi mai visto. Ancora una volta il capo villaggio sollevò una mano: i danzatori si volsero nuovamente verso le compagne e, lentamente, tolsero anche a loro i gonnellini, facendoli scivolare lentamente lungo le anche delle danzatrici, le quali rimasero anche loro completamente nude. Tutto questo senza smettere un attimo di ballare. “Capite ora perché si chiama danza della fertilità? Queste giovani coppie stanno offrendovi lo spettacolo del loro accoppiamento, per dare al villaggio nuove vite e nuova linfa. Questa cerimonia è bello che si svolga alla presenza di tutti, soprattutto degli ospiti, per buon augurio di prosperità. Che ne dite? Mio padre chinò la testa in onore del capo villaggio e gli posò una mano sulla spalla. Quel gesto dovette essere gradito, perché il capo, a sua volta, batté la sua mano su quella di mio padre e gli sorrise. Io non sapevo più dove guardare: avvertivo le occhiate di tutte, di mia madre, delle mie sorelle, delle zie, che si incrociavano con i miei sguardi, con quelli di Annette e di Edith. Ora la danza si era esplicitamente trasformata in un vero e proprio atto sessuale. Le danzatrici avevano aperto le gambe, pur continuando a far ondeggiare il bacino e quindi il membro dei loro compagni, che continuava ad ondeggiare su e giù, ora batteva proprio sulla fica di ciascuna di loro e poi ritornava giù per riondeggiare ancora. Erano anche mutate le loro espressioni: mentre nei danzatori era già evidente l’eccitazione, con questi ultimi movimenti e il ritmico battere dei piselli sulle fiche delle danzatrici, queste ultime avevano assunto una espressione davvero infoiata, con gli occhi semichiusi e la bocca socchiusa. I loro seni continuavano a ballare per proprio conto. Io non sapevo più dove mettere il mio pisello, che era diventato duro forse più di quelli dei danzatori e completamente allagato di liquido lubrificante. Il capo villaggio, con maggiore lentezza e solennità, alzò nuovamente il braccio e, ancora una volta, la scena mutò: era evidente che il momento era quello finale del rito della fertilità, nel quale gli uomini dovevano finalmente fecondare le donne. Per un attimo la danza di fermò, le danzatrici si inclinarono un po’ più di prima, allargando maggiormente le gambe ed offrendo alla vista di tutti, ed alla portata dei partners, le loro fiche. Ogni danzatore, molto lentamente, avvicinò il suo pisello alla fica della compagna ed altrettanto lentamente la penetrò. Io mi trovavo proprio vicino ad uno di quei danzatori che avevano un membro mostruoso. Per fortuna la sua partner non era una di quelle piccoline, che sarebbe stato impossibile penetrare con quel palo, ma una di quelle con le tette altrettanto enormi, alta e molto ben fatta. Ciò nonostante, quel mostro ebbe grandi difficoltà ad entrare nella fessura della sua compagna, la quale cercava di accompagnarlo con una mano. Notai che la mano della danzatrice non riusciva a circondare completamente la circonferenza di quel pisello e desiderai subito averne uno così. Probabilmente lo desiderava anche mia sorella Virginie, non di averlo lei, ma di averlo dentro, visto che non staccava lo sguardo neanche per un attimo da quel fenomeno della natura. Per fortuna la fica della danzatrice–martire sembrava talmente lubrificata da consentire l’ingresso di quel bastone al suo interno. In effetti, poco per volta, il pisello enorme scompariva alla nostra vista per entrare nella vagina della danzatrice, come gli altri, del resto, che ormai erano già tutti dentro le fiche delle altre danzatrici. A quel punto la danza ricominciò e questa volta a coppie: la sensualità di quella danza–accoppiamento era smisurata, proprio come quei piselli degli isolani. Le danzatrici inclinarono il busto ancora di più e un’altra scena meravigliosa apparve agli occhi di tutti: le tette delle danzatrici libere nell’aria che fluttuavano come onde, avanti e dietro, sotto le spinte possenti dei danzatori. Anche questa fase non saprei dire quanto fosse durata, ma penso molto a lungo, data la possanza dei danzatori e quindi la loro resistenza. Alte grida di godimento cominciavano a sostituire gli iniziali mugolii di piacere emessi dalle danzatrici. Il livello di eccitazione era ormai parossistico. Mia madre era rossa in volto. Mia sorella Vir e Annette avevano una mano sotto la gonna ed intuivo cosa stessero facendo. Ma la cosa che mi eccitò maggiormente fu vedere mia nonna che aveva platealmente una mano infilata nei pantaloni del nonno ed evidentemente lo stava masturbando, pur tentando di nascondere la manovra con una giacca appoggiata in grembo. Non avevo mai pensato ad una sessualità dei nonni, ma quello, evidentemente, era proprio il giorno delle sorprese. Le grida di piacere ormai superavano anche le parole scambiate tra vicini. Anche la musica era divenuta assordante e il suo ritmo seguiva quello dei movimenti dei danzatori. Io mi stavo godendo lo spettacolo di quel pisello enorme che entrava e usciva dalla fica della danzatrice sempre più lucido di umori provenienti dalla sua compagna: quell’accoppiamento aveva qualcosa di animalesco ed era tanto eccitante. Con ultime altissime grida, tutti i danzatori e le danzatrici giunsero all’orgasmo, ance se non all’unisono. Ma nessuno di loro estrasse il proprio cazzo dalla fica della compagna. Stavano ancora ansimando: i loro petti si sollevavano e si abbassavano ritmicamente. Quando gli ultimi gemiti di godimento si spensero ed il silenzio si riappropriò della spianata nella quale si celebrava la festa, il capo sollevò un’ultima volta la mano le danzatrici si risollevarono, mantenendo il membro dei propri compagni ancora dentro di loro. Poi, finalmente, si staccarono. Il rumore di risucchio: “slop” che il cazzo–mostro del danzatore fece nell’uscire fuori dalla fica della sua compagna fu ascoltato distintamente da tutti quanti. Il capo villaggio, infine, evidentemente in segno augurale, congiunse le mani e le portò in altro sopra la sua testa, pronunciando alcune parole incomprensibili. Le danzatrici e i danzatori, ancora uno abbracciato all’altra, si inchinarono a lui e a noi, in segno di rispetto. Vedevo chiaramente le gocce di sperma che colavano lungo le cosce delle danzatrici: il rito della fertilità era stato compiuto. Vedevo sui loro volti il segno di un godimento estremo e le espressioni di soddisfazione sui volti dei loro compagni. Erano comunque tutti sfiniti, ma sorridenti. Fantastico, uno spettacolo sconvolgente. Osservando le espressioni dei miei familiari notavo che la festa della fertilità aveva davvero sconvolto tutti quanti. Mia madre aveva le gote rosso fuoco, le zia Juliette penso che avrebbe volentieri continuato lei a giocare con quel danzatore con il membro smisurato (che ancora pendeva come un ornamento gocciolante tra le sue gambe), un profondo turbamento era evidente anche sui volti dei nonni, delle mie sorelle, di Annette ed Edith, di mio padre e zio Marcel. Al contrario, zia Jeneviève era l’unica ad aver conservato un certo aplomb. I danzatori, dopo un ultimo inchino, si dileguarono e a noi non restò che congedarci. Il capo villaggio, però, ci invitò ancora a bere con lui e con i suoi sudditi una bevanda tipica polinesiana, per brindare alla festa della fertilità. Gli isolani portarono ad ognuno di noi una mezza noce di cocco piena di liquido, presumibilmente a base di latte di cocco e di altri aromi a me sconosciuti, ma gradevolissimi. Dopo aver bevuto, con una rudimentale posata di legno mi divertii a staccare la polpa dal guscio e notai che era morbidissima, diversa da quella che mangiavo in Francia. Mio padre, terminata la bevanda, si alzò, imitato da tutti noi e prese finalmente congedo dal capo villaggio, abbracciandolo cordialmente. Il capo, poi, a turno, abbracciò tutti noi con molto calore e, con solennità, ci annunciò che saremmo sempre stati i benvenuti nel suo villaggio. Lo ringraziammo per la sua squisita ospitalità e per l’accoglienza riservataci e ci incamminammo verso la barca. Mi divertivo ad ascoltare i commenti di miei familiari: discutevano di tutte le fasi della festa, a cominciare dal cibo, passare alla cordialità degli isolani e finire, ovviamente, sul rito della fertilità. “Mamma mia, mi tremano ancora le gambe” diceva zia Juliette “non ho mai assistito ad uno spettacolo così…come potrei definirlo, selvaggio, bestiale, ma nel contempo molto dolce. Si vedeva che danzatrici e danzatori erano legati da un sentimento e che se la godevano da pazzi a scopare così, davanti a tutti”. “Ma loro sono abituati a farlo in questo modo” replicava mia madre “hai notato che le capanne non hanno porta di ingresso? Chiunque passa può vedere cosa stanno facendo dentro, non hanno alcuna inibizione. Ma sapete che vi dico? Penso che sia meglio così, è più naturale, spontaneo. Io forse non ne sarei capace, ma apprezzo chi può essere così vero”. “Dovreste dirlo a quella monaca di Jeneviève” scherzò zio Marcel “forse sarà la volta buona che farà vedere qualcosa di sé a qualcuno…” “Smettila, Marcel” lo rimproverò, ma affettuosamente, zia Jeneviève “sei sempre il solito, non cambierai mai, tu. Che cosa ne sai tu delle mie abitudini? Anzi, sai cosa ti dico? Fatti i fatti tuoi!” “Ma sono fatti miei” replicò zio Marcel avvicinandosi al suo viso e quasi sussurrando nel suo orecchio destro “sai quante volte ho desiderato che la dessi a me?” “Marcel, finiscila!” lo zittì zia Jeneviève, con autorità. Io avevo notato che comunque il discorso non la offese più di tanto e questo mi dette la conferma che quanto mi aveva confidato Virginie la mattina doveva essere vero: c’era comunque, oltre l’affetto, una strana e profonda confidenza tra le sorelle ed il fratello. Mi proposi di approfondire. Mentre ritornavamo alla barca, nella calda notte tropicale, con un cielo nel quale le stelle sembravano più numerose ed erano in posizione completamente diversa rispetto al cielo di Parigi, mi domandai cosa sarebbe successo quella notte, dopo l’eccitazione bestiale provocata dalla danza della fertilità… Fine Capitolo 4 |
I vostri commenti su questo racconto | ||
Autore: | Soter & Magda | Invia un messaggio |
Postato in data: | 21/07/2012 09:53:13 | |
Giudizio personale: |
I nostri migliori complimenti.... |
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Autore: | Thexvoice | Invia un messaggio |
Postato in data: | 01/08/2007 13:46:03 | |
Giudizio personale: | è un racconto strappacervello ! | |
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Autore: | Aigh | Invia un messaggio |
Postato in data: | 24/08/2006 10:39:23 | |
Giudizio personale: |
stravolgente! so di iniziazioni sessuali in famiglia, narratemi da amici che le hanno sperimentate, ma descritta così , con la verosimile confidenza tra i protagonisti, supera i miei automatici tabù e induce alla riflessione. la danza della fertilità è fantastica, come la descrizione di luoghi e cose. Si comincia a fare il tifo per il protagonista, sperando in qualche altra partner estranea al cerchio famigliare. Ripeto: pubblicalo! Aigh |
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