La stanza è immersa in una penombra, attraversata solo dalla luce morbida di una lampada d’angolo che sfiora i contorni del pianoforte, lucido e silenzioso al centro della scena. Le tende sono socchiuse, lasciando filtrare l’eco ovattata della notte, e l’aria è colma di una quiete carica di attesa.
Lei si avvicina al pianoforte con lentezza, le dita sfiorano il bordo laccato come se stesse saggiandone la temperatura, e si siede con grazia sullo sgabello. Le sue mani danzano appena sopra i tasti, accennando una melodia soffusa, quasi un sussurro tra le note.
Lui la osserva in silenzio, in piedi a poca distanza. Non parla, ma ogni suo gesto tradisce un’attenzione profonda, catturata non solo dalla musica, ma dal modo in cui lei si muove, come se fosse parte dello strumento. Le sue spalle nude tremano appena a ogni nota, il profilo illuminato dalla luce fioca.
Si avvicina piano, lasciando che il suono del pianoforte li avvolga entrambi. Le sue mani si posano sulle spalle di lei, leggere come un respiro. Lei non si volta, ma inclina appena il capo, accogliendo quel tocco con un sorriso che non ha bisogno di parole.
Le note si fermano. Il silenzio che segue è denso, palpabile. Lui si siede accanto a lei sullo sgabello stretto, le ginocchia si sfiorano, e le loro mani si cercano sopra i tasti, trovandosi in un gesto intimo, semplice e colmo di significato. Non c’è fretta, solo la bellezza di una vicinanza che parla con la musica e il corpo, senza bisogno di altro.